La morte del saltimbanco
Round Robin
Credo che l’abitudine sia un vero e proprio veleno. La si assimila a piccolissime dosi, quotidianamente, senza saperlo la trovi nei piatti che mangi, nelle bevande che bevi. Ci si veste di abitudini, parliamo di abitudine, ci comportiamo d’abitudine e conseguentemente si agisce per abitudine. Si saluta, si ringrazia, si annuisce, addirittura si sorride per abitudine.
A volte ci si dimentica persino dell’abitudine, non le si fa più caso, ed essa diventa parte integrante della propria vita. In quel momento ti stanchi di prendere decisioni, di avere un’opinione, di non essere d’accordo. In quel momento diventi una bandierina che, senza un vento che soffi, non sa da che parte sventolare. Una maschera ti copre il volto, ti aiuta a nascondere quello che realmente vive dentro di te, quello di cui ti sei dimenticato. Ti guardi allo specchio e non vedi altro che lineamenti goffi; occhi sproporzionati che, guardandoti senza sosta, ti scherniscono, chiudono le palpebre e sbattendo le ciglia sbuffano alla noia; labbra grosse, umide di inutilità, di frivolezze, gonfie di mutismi e malinconie. Ghigni irriverenti tengono il ritmo di una musica che ti rende protagonista di questo balletto che, ogni giorno, batte il tempo. Venghino siore e siori, lo spettacolo sta per iniziare; anche oggi per voi è di scena l’insipida rappresentazione del teatro del nulla.
C’è un momento però dove ti rendi conto che lo spettacolo è finito; la maschera si scioglie, perde ogni appiglio e scivola lasciando intravedere un volto segnato dagli avvenimenti. In quel momento ti vedi, è un riflesso. Nello specchio il volto di una persona che non conosci; ti segue con lo sguardo, ti scruta, è come se ti denudasse. In quel momento è come se una lampadina si accendesse dentro di te, è come se quel piccolo tizzone quasi spento iniziasse a prendere grandi boccate di ossigeno e ritornsse ad ardere. Nessun ghigno, niente balletti, in scena l’ultimo atto: “La morte del saltimbanco”. In quel momento ti rendi conto che ogni giorno, ogni istante che lo compone, è, anche se in modo impercettibile, diverso. Piccolissime sfumature lo rendono assolutamente unico. Lo rendono degno di essere vissuto veramente.
Ogni giorno deve essere vissuto e non sopravvivere ad esso; vivere e sopravvivere sono due cose ben diverse. Chi vive sa che la vita è un disegno che qualcuno d’altro ha tracciato; sa di essere in grado di scegliere cosa sarà e cosa potrebbe anche non essere, e riporrà con cura tutto nel proprio zaino vedendolo comunque come un successo. Chi vive sostiene che amore e odio siano meravigliosi entrambi nello stesso modo perché, chi per un verso e chi per l’altro, si manifestano nella loro purezza d’essere. Chi vive non ha mezze misure perché esse sono per le mezze persone. Chi vive sa di essere diverso; complicato, assurdo, pazzo, sgargiante, irriverente, sincero, sguaiato, serio.. malinconico… triste…. non importa come ma sa di essere diverso e per questo farà di tutto per essere migliore.
Chi sopravvive sa che la vita è un disegno che qualcuno d’altro ha tracciato.